Cison, l’incredibile storia dei quattro fratelli De Luca “rastrellati” nel 1944 dai tedeschi

Per Adolf Hitler non erano neppure dei prigionieri, ma solo degli internati, gente da privare di qualsiasi diritto e da mettere al lavoro come schiavi per il Reich. All’indomani della proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre 1943, migliaia di ragazzi italiani in età di servizio militare furono catturati dalle forze armate tedesche. 

Anche a Cison di Valmarino e nella Vallata del Soligo molti giovani si nascosero nelle montagne per sfuggire ai soldati della Wehrmacht. Durante un rastrellamento ad agosto del 1944 i tedeschi riuscirono a sorprendere nelle loro case alcuni di questi giovani. Ha dell’incredibile la storia dei fratelli De Luca che quella notte furono catturati in quattro. 

Giovanni
, Ivo (nella foto)Vezio ed Edoardo i loro nomi, strappati nel cuore della notte agli affetti familiari. Edoardo (detto Lalo) riuscì rocambolescamente a fuggire con uno stratagemma buttandosi dal fienile, inseguito inutilmente dai tedeschi che gli spararono contro. Per gli altri tre fratelli niente da fare, furono trasferiti in prigione prima a Padova, da lì a Verona e successivamente il 30 agosto del 1944 in Germania nei campi di lavoro.  

Insieme a loro c’erano altri due cisonesi presi la stessa notte, Francesco Fiorin e Giuseppe Munno. Un anno trascorso a contatto con la popolazione tedesca a lavorare duramente in sostituzione dei soldati impegnati al fronte. Il mangiare era poco e la storia è ricca di aneddoti, con tanto di tentativi di evasione di cui Giuseppe Munno si rese protagonista. 

Nel 1945 finalmente l’arrivo degli Alleati e l’agognata liberazione. In realtà si trattò di un lungo viaggio di ritorno a piedi e con mezzi di fortuna, un percorso a ritroso nelle miserie della guerra che nel giro di pochi mesi li riportò a Cison. I ricordi sono ormai sbiaditi, di tutti rimane in vita soltanto Ivo De Luca, che quest’anno compirà 95 anni. Al tempio dedicato alla Madonna delle Grazie a Cison, sulla parete degli ex voto ce n’è uno con lo sfondo rosa su cui sono adagiate le foto dei cinque allora giovanotti protagonisti di questa storia (nella foto sotto). Abbiamo recuperato anche un biglietto (nella foto accanto) conservato da Renata, figlia di Giovanni che nel 1944 aveva tre anni, biglietto scritto di pugno dalla mamma che riportava un pensiero del papà ormai prossimo alla deportazione. 

Renata, nelle intenzioni del padre, veniva affidata all’angioletto custode, un ricordo che a distanza di anni conserva gelosamente. Per tutti i protagonisti fu un anno di patimenti che poi portarono come bagaglio personale per tutta la vita. A casa non amavano parlarne molto. Del resto come non capirli, deportati, schiavizzati per lavoro ed usati come scudi umani durante i bombardamenti degli alleati, non deve essere stata un’esperienza facile da raccontare. Il destino ha rubato loro la giovinezza, ma gli ha concesso la possibilità di farsi una vita. 

Occasione che non hanno sprecato lasciando la loro storia in eredità a figli e nipoti. Recentemente lo Stato Italiano ha predisposto la “Medaglia d’Onore” per gli internati e per le loro famiglie. Non è un indennizzo, ma il riconoscimento del valore di un grande sacrificio patito.

(Fonte: Giancarlo De Luca © Qdpnews.it).
(Foto: Qdpnews.it ® riproduzione riservata).
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