Educhiamoci, il filosofo Galimberti riempie il Da Ponte: “Se non sei empatico non fai l’insegnante. Sbagliato sospendere i bulli”

Umberto Galimberti

Una serata ricca che ha donato spunti di riflessione importanti alla sala, colma di cittadini provenienti da tutta la provincia, del Teatro Da Ponte di Serravalle: ieri mercoledì 18 il filosofo Umberto Galimberti, in un incontro della rassegna “Educhiamoci“, con il suo intervento ha illustrato cos’è l’educazione “in una società in cui i genitori tendono a riempire i figli di regali, anziché di presenza e parole, in cui molte volte gli adulti vivono il mito del giovanilismo a discapito di esempi comportamentali positivi, in cui anche la scuola, più che educare, istruisce, senza prendersi abbastanza cura della condizione emotiva degli studenti che rimangono così ‘vittime’ delle pulsioni senza poter imparare a pensare prima di agire e a distinguere il bene dal male”.

Il prof. Galimberti dopo l’intervento al teatro Da Ponte – Video di Monica Ghizzo

Un lungo applauso da parte del pubblico ha accolto l’illustre relatore. Presenti alla serata l’amministrazione comunale di Vittorio Veneto rappresentata dall’assessore alle politiche sociali Antonella Caldart, il consigliere regionale Sonia Brescacin e i vertici di Banca Prealpi SanBiagio – sponsor principale dell’evento – con il presidente Carlo Antiga e i vicepresidenti Flavio Salvador e Gianpaolo De Luca.

“I numeri continuano ad aumentare quindi vi ringrazio – ha affermato Caldart -. Ci colpiscono i tanti commenti, suggerimenti e complimenti che riceviamo e una domanda che spesso ci fate è: ‘Perché un Comune così piccolo si occupa di educazione degli adulti?’ Noi abbiamo iniziato tre anni fa dopo la pandemia, quando il territorio ci ha dato dei segnali molto forti: non c’era più sintonia tra il linguaggio dei giovani e il nostro nell’approcciarli ed educarli. Noi educatori ci siamo messi in discussione capendo in che modo potevamo migliorare e così è nata questa idea, con l’intento di aiutarci ed essere una vera comunità educante.

Teatro Da Ponte gremito per ascoltare il prof. Galimberti a “Educhiamoci”

La professoressa Roncari ha definito i nostri giovani ‘bambini digitalmente modificati. Nostro compito è aiutarli a diventare adulti capaci di socializzare’ è uno dei primi compiti, metterci in connessione aiutarli a diventare socializzanti. Un altro tema importante è quello della responsabilità: ‘Noi adulti diciamo spesso ai bambini ‘sii te stesso’ ma stiamo dicendo ‘sii te stesso a modo mio’, è quello che ha detto il dottor Lancini. Noi usiamo parole e gesti che non permettono a noi di identificarci con i nostri bambini. Dobbiamo trovare questa empatia e riuscire a comunicare, identificandoci con i nostri ragazzi. Concludo con quello che ci ha detto il professor Zoia: ‘Il vero adulto per essere educatore deve essere fiero di essere padre, madre, insegnante, allenatore perché abbiamo scelto di esserlo” così creeremo una vera comunità educante” ha detto l’assessore.

“Il tema di quest’anno è coraggio ed educazione. Mi sento di aggiungere anche la volontà e la passione di questa amministrazione di porre attenzione ed energie alle persone e cittadini – ha aggiunto Brescacin -. Attenzione tramite princìpi e obiettivi solidi, non solo in chiave di risposte a bisogni specifici dei singoli ma soprattutto creando le giuste condizioni di crescita di qualità delle persone.

Attenzione in primis ai giovani per offrire a loro le opportunità per affrontare la crescita e le sfide, potendo cogliere le molte e buone occasioni che hanno e che meritano. Attenzione anche agli educatori che in qualche modo siamo un po’ tutti. Queste giornate sono, da un lato, un patrimonio inestimabile di eventi di attualità a disposizione di tutti gratuitamente e un momento di cura per alimentarci di sentimenti buoni, conoscenze utili, capacità di ascolto e di umanità che da valore alla vita di tutti quanti noi” ha concluso Brescacin.

I giovani stanno male”

“I giovani stanno male perché sono entrati in quella stagione in cui manca lo scopo, il futuro non è più una promessa, manca la risposta al perché e i valori si svalutano – con queste parole il professor Galimberti ha iniziato il suo intervento -. ‘Ai miei tempi’ non si può più dire, perché il futuro non è più lì ad attenderci come lo era ai miei tempi. Oggi è imprevedibile. Il Cristianesimo ha sempre guardato il futuro in positivo, è una salvezza per loro e la scienza pensa la stessa cosa, il futuro è progresso.

Sperare significa consolare le persone facendo credere che il futuro porti un rimedio del passato, ma non è così. La vita va avanti se c’è qualcosa che attrae, nessuno ci spinge. Se non ci attrae niente, non si andrà avanti. I giovani bevono e si drogano per una sorta di anestesia dell’angoscia che provano quando pongono uno sguardo al futuro. Se non si fa niente nel presente, il futuro non sarà positivo sperando solamente”.

L’identità nasce con l’interazione sociale”

“I bambini non sono piante, crescono in base a dei processi educativi. Nei primi tre anni di vita si formano le mappe cognitive ed emotive. Negare di vedere un disegno appena fatto dal bambino è già una prima ferita: ‘Il mio lavoro non vale niente’ penserà il piccolo. Se al bambino si dice che è bravo sia da genitore che dall’insegnante potrà crescere in modo positivo. Al contrario, se verrà criticato, crescerà in modo negativo. L’identità nasce per interazione sociale, la società viene prima dell’individuo. I Cristiani di fatto non sono buoni cittadini perché pensano di salvare la propria anima, non la società.

Con i bambini bisogna parlare molto, i genitori hanno tempo fino ai 12/13 anni per parlare perché dopo le parole saranno vane. In cambio di tutte le parole mancate al bambino, si compensa con i giochi. I semi poi però germogliano: se la stanza del piccolo è piena di regali, uccidi il desiderio perché esso nasce dalla mancanza. 

Il prof. Galimberti con il pubblico del teatro Da Ponte

Alle scuole elementari i genitori fanno le domande alle maestre perché ‘ne sanno di più’ e iniziano a parlare male di loro davanti al bambino. Questo, al piccolo, crea un danno che va a ferire la dimensione affettiva: quando il bambino va a scuola, inizia a legarsi e ‘amare’ anche la maestra, non solo i genitori come quando era sempre in casa con loro. Se la mamma parla male della maestra si crea una ferita affettiva, il piccolo inizia a pensare ‘è meglio non fidarsi di nessuno’. Bisogna stare attenti quando si parla con i bambini, quando li riempi di giochi o li fai vedere delle cose.

La scuola media inferiore è delicatissima, ma in Italia è la più disastrata. Compare la sessualità e l’amore senza una dimensione psicologica. La sessualità ti obbliga a una riconfigurazione della visione del mondo (ad esempio il sole prima ‘andava a nanna’ e poi il tramonto diventa ‘romantico’ o ‘erotico’). Accanto all’Io (identità) c’è la specie (nasce, cresce, muore) ed essi non coincidono (ad esempio il ciclo mestruale o la gravidanza vanno a vantaggio della specie ma l’Io vede il corpo cambiare e non si sente a suo agio).

Al contempo inizia a formarsi l’intelligenza. Ci sono diversi tipi di intelligenza ma la scuola porta avanti solo quella logica-matematica, a prescindere dalla qualità delle intelligenze di ogni ragazzo (verbale-linguistica, musicale, corporeo-cinestetica, spaziale-visiva, interpersonale, intrapersonale o naturalistica). I disadattati, i ragazzi ‘poco svegli’, nascono a scuola perché non viene sviluppata a portata avanti il loro tipo di intelligenza”.

I sentimenti si imparano. Se non sei empatico, non fai l’insegnante”

“Educare vuol dire trasformare la pulsione di un bambino in emozione. I bulli sono poveri di linguaggio quindi utilizzano i gesti, e cosa fa la scuola? Li sospende: è sbagliato, bisogna tenerli a scuola di più per trasformare le loro pulsioni in emozioni. Non provano emozioni quando picchiano o vandalizzano, bisogna insegnare loro le emozioni anche senza ricorrere agli psicologi, bastano insegnanti con empatia. Quelli che stuprano le ragazze o lanciano i sassi dal cavalcavia e dicono di ‘non aver fatto nulla di male? Io credo che lo pensino veramente: non sentono la differenza tra bene e male, non hanno la risonanza emotiva e l’acquisizione dei sentimenti.

I sentimenti si imparano, sono un prodotto, una visione culturale. I nostri sentimenti non sono uguali a quelli degli Indù, si imparano dalla nostra cultura. La scuola deve smettere di riempirsi di computer ma deve aggiungere cultura e letteratura: a scuola si insegna come essere uomo, all’università si insegnano le competenze.

Gli uomini non hanno istinti ma pulsioni a meta determinata. L’uomo non è un animale ragionevole perché non ha risposte rigide come loro. L’uomo, dato che non ha istinti, ha bisogno di un tracciato da seguire: l’educazione e le istituzioni che ci consentano di convivere in modo pacifico.

Per riuscire a educare i ragazzi a scuola, le classi devono essere di 12/15 persone. È una spesa per lo Stato, ma allo Stato interessa dell’educazione dei giovani? Importante anche selezionare accuratamente gli educatori. Non basta un concorso di livello culturale, bisogna aprire il proprio cuore, essere empatici con i ragazzi, e ci sono dei test, che fanno solitamente nei Paesi nordici, per calcolare il livello di empatia. Se non sei empatico non fai il professore.

genitori devono stare fuori dalla scuola perché non sono interessati all’educazione vera e propria del figlio, ma alla promozione e ai buoni voti. Il ragazzo che ha un problema non può mandare il genitore, deve andare lui e il professore deve ascoltarlo. Invece di fare riunioni scolastiche, bisogna parlare con i giovani perché spesso gli insegnanti possono fare meglio degli psicologi. La sanità sta diventando sempre più privata ma anche nella scuola sta succedendo: c’è un’offerta di insegnamento e professori migliori, selezionati con cura e che ascoltano i loro studenti, sennò vengono mandati a casa”.

La nostra società, debole e in declino”

“Oggi, con l’uso del cellulare, nemmeno le emozioni serve più saper esprimere, perché basta un emoticon. Dai 15 ai 30 anni c’è la massima potenza biologica: siamo belli e forti. È qui il massimo della potenza ideativa, ma la medicina ha allungato… la vecchiaia, non la vita. Il potere è in mano ai nonni, i padri di 50/60 anni aspettano che muoiano i nonni e i figli studiano e sono giovani fino ai 50 anni. Una società non può andare avanti così, siamo in declino.

Siamo tutti razzisti perché il nostro inconscio sente che gli stranieri che arrivano in Italia, sono biologicamente e psicologicamente più forti di noi, sentiamo che potrebbero vincere su di noi. Abbiamo tutti paura”.

Fonte: Monica Ghizzo © Qdpnews.it)
(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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