Oggi piazza Balbi di Pieve di Soligo sta piano piano rifacendosi il look, con una nuova pavimentazione e la demolizione di barriere architettoniche che rendono più agibile l’intera area.
Chi ricorda la piazza negli anni ’60 la associa a numerose attività che oggi, nella maggioranza, sono andate perdute o alla meglio hanno ceduto il posto ad altri esercizi.
“Cominciamo a sinistra della piazza con il caffè Commercio che in quegli anni ha avuto il cambio gestione tra i Signoretti e i fratelli Gerlin, Lino e Luigi” inizia Piero Gerlin.
Poi c’era la banca popolare di Novara dove lavorava il cassiere Velio Soldan, che è anche stato fondatore del CAI di Pieve: “Lui non usava mai la calcolatrice, faceva tutti i calcoli con carta e penna”.
Di seguito c’era il negozio di calzature Carnielli, che come tutte le calzolerie aveva annesso anche il laboratorio di riparazione. A fianco si trovava lo studio notarile di Basignani Sartorio, a cui è poi subentrato il notaio Bevilacqua. Ci passavano davanti praticamente tutti perché di fianco c’era la secolare farmacia Schiratti, attiva dal 1834, sulla cui storia ci sarebbe da scrivere un libro intero.
Passando al palazzo Balbi – Sammartini, nella prima entrata ci si imbatteva nella cooperativa di alimentari gestita dal sior Augusto: il ricavato andava alla casa di riposo che si stava costruendo in quel periodo.
A fianco si poteva entrare nell’antica barberia per rifinire barba e capelli: era delle famiglie Dini, poi è diventato titolare il nipote Renato Gumier, che aveva installato nel negozio anche una ricevitoria del totocalcio.
Entrando nel portone grande del palazzo si vede subito davanti alla corte un’ala di un lungo fabbricato: lì, con Romano Ricci, è nata l’azienda Maia con le sue prime 5mila galline, che aveva sistemato su due piani. Il tempo ha dato ragione all’intuizione di Ricci, che ha avuto sempre più successo fino a trasformare l’azienda in un vero e proprio colosso.
Sulla destra invece si potevano acquistare tessuti, lane e abbigliamento nel negozio di Giovanni e Lello Dorigo, che poi si sono trasferiti in galleria La Posta.
Uscendo dal palazzo si attraversa la strada e si passa sotto la loggia: ancora oggi si può trovare l’osteria-trattoria dalla Loggia, che a suo tempo era di proprietà di Maria e Toni.
Appena oltre c’era un esercizio affascinante: il centralino della Telve. Telve era la sigla per Società Telefonica delle Venezia e fu istituita nel 1923, per poi fondersi nella Sip.
Il centralino di Pieve di Soligo, ricorda Piero Gerlin, era interamente manuale: “Non c’erano molti telefoni in paese, ci saranno stati un centinaio di numeri o poco più. Se volevi chiamare qualcuno bastava alzare la cornetta: rispondeva il centralino, a cui riferivi il numero che volevi contattare e quindi collegava lo spinotto corrispondente. Attenzione però, lui sentiva tutto!”.
Gerlin precisa una curiosità: non tutti sanno infatti che a quel tempo non c’erano i numeri che conosciamo oggi, completi di prefisso. Dato che andavano poco oltre il centinaio, i numeri erano semplici cifre: 76, 12, 80.. il centralino li collegava ed era fatta. Dalla sua sede sotto la loggia è passato poi dietro la chiesa, al posto dell’attuale cappella e in quell’occasione è stato anche automatizzato.
Tra la stretta scalinata e la fontana di San Francesco una volta ci si poteva fermare a comprare frutta e verdura nella caratteristica casetta verde di Giulio Collodel.
Il vecchio monumento ai caduti che troviamo davanti alla loggia non era lo stesso che vediamo oggi: un tempo c’era una scultura in ferro creata da Giovanni Possamai da Solighetto ma venne smantellata nel ‘43 per ricavarne ferro utile alla guerra.
Ne venne creato uno nuovo nel ‘58: il grande libro di pietra contiene le preziose parole del nostro Andrea Zanzotto, che le scrisse appositamente per onorare la memoria dei caduti di guerra.
Attraversiamo ora di nuovo la strada fiancheggiando il ponte e scendiamo in Borgo Stolfi: con il Soligo sulla destra arriviamo al piccolo mulino. “Lì è nata la società Agribeton – svela Piero – poi è stata sostituita dall’officina meccanica di Giaon, prima che si spostasse di fronte all’ex bar Holiday, oggi Markanto’”.
Sulla sinistra invece, sotto le dipendenze dei Sammartini, aveva avviato la sua attività di commercio di vini e bibite la ditta Prevedello, che era subentrata alla cantina della società 3A (aziende agricole associate dei Sammartini) e si trovava, per capirci, al posto dell’Enoteca.
Vicino al ponticello pedonale, che una volta era una semplice passerella in legno senza parapetti, c’era la piccola attività del primo elettrauto di Pieve: Toni Gerlin del Borgo. “Per capire se le batterie erano cariche si arrangiava con quello che aveva: intingeva l’indice nell’acido e lo metteva in bocca per sentire se prudeva sulla lingua” racconta Piero.
Lì vicino, in casa Zabotti, c’era anche una rivendita di pane. Infine, a chiudere l’area di Borgo Stolfi i più golosi si appostavano davanti alla casa e laboratorio di Aldo dei gelati: magari riuscivano ad accaparrarsi una pallina anche prima di pranzo, sfuggendo ai rimproveri delle mamme.
(Fonte: Alice Zaccaron © Qdpnews.it)
(Foto: Per concessione di Piero Gerlin).
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