Il Piave, gli Arditi e l’Isola dei Morti; luoghi, persone e giornate che decisero la Grande Guerra

A Moriago della Battaglia, esiste un luogo che almeno una volta nella vita va visitato; l’Isola dei Morti. Un lembo di terra sul fiume Piave compreso tra il versante settentrionale del Montello e il paese di Moriago della Battaglia. Il nome è dovuto al ritrovamento, nei giorni successivi alla Battaglia Finale, di migliaia di corpi senza vita di soldati italiani, trascinati dalla corrente o colpiti dai proiettili del nemico mentre cercavano di raggiungere l’altra sponda. Da subito “l’Isola” divenne il luogo simbolo dove si celebrò il più grande sacrificio di vite umane degli ultimi giorni di guerra.

Negli anni ’20 venne eretta una piramide di pietra con in cima una croce creata con del filo spinato e un elmetto. Sulle quattro pareti sono state collocate altrettante lapidi in pietra che riportano la poesia “La preghiera di Sernaglia”, composta da Gabriele D’Annunzio. Nel 1965 fu eretto nell’area un Santuario da dedicare alla Madonna e l’Associazione Artiglieri di Moriago della Battaglia, nel 1991 inaugurò un secondo monumento intitolato “Vita per la Pace”, opera dello scultore Mario Balliana. Tutto questo oggi è visitabile ed è il luogo ideale per raccontare i giorni che portarono alla Battaglia Finale. L’Italia aveva saputo superare Caporetto grazie al nuovo assetto che si era data. Silurato Cadorna, con Diaz al comando tutto era cambiato.

Dopo la terribile Battaglia del Solstizio del giugno 1918 e la successiva ritirata degli austro-ungarici dal Montello sulla riva sinistra del Piave, da dove erano partiti, il Generale Armando Diaz si sente di rassicurare il Re: “Maestà ripassano il Piave, la battaglia d’arresto è vinta, ed è vinta pure la guerra!” Il fallimento dell’offensiva fu l’inizio della fine per l’invasore, sia per l’enorme carico di perdite con morti, feriti e prigionieri, sia per le disastrose condizioni socio-economiche in cui versava l’Impero.  Si arrivò così alla vittoriosa “Battaglia di Ottobre” sul Piave, che permise agli arditi e a tutti i soldati italiani di attraversare il fiume Sacro e giungere fino a Vittorio Veneto, liberando uno ad uno tutti i paesi oggetto di conquista, occupazione e saccheggio da parte del nemico. Ma ecco come si svolsero i fatti.

La tattica studiata nei dettagli dal nostro comando aveva come obbiettivo creare una frattura nella prima linea nemica, tra le forze di pianura e quelle schierate in montagna. L’offensiva sulle alture di Asiago e sul Grappa sarebbe servita ad attirare su quei territori il maggior numero di contingenti nemici, alleggerendo così l’opposizione sulla sponda sinistra del Piave e mascherando il vero obbiettivo, cioè lo sfondamento dal Montello in direzione Vittorio Veneto attraversando il Piave. La tattica si rivelò vincente.

Sul Grappa in quattro giorni vennero sacrificate molte vite (5.200 morti e 18.500 feriti) ma la manovra permise di logorare profondamente le forze rivali e di attirare le riserve lontano dagli scontri che sarebbero stati decisivi. Il 24 ottobre il Generale Gaetano Giardino programmando l’offensiva nell’area montana esortava i suoi: “E’ l’ora della riscossa. È l’ora nostra. I fratelli schiavi aspettano i soldati del Grappa liberatori. Chi di voi non si sente bruciare di furia e d’amore? Il nemico traballa. È il momento di dargli il tracollo… che può essere l’ultimo se glielo date secco! Ognuno di voi valga per dieci e per cento. Il vostro Generale sa che varrete per dieci e per cento. L’Italia vi guarda ed aspetta da ciascuno di voi la liberazione e la vittoria!”

Il protagonista indiscusso di quelle giornate di guerra fu sicuramente il Piave. Il 24 ottobre a causa delle violente precipitazioni le acque del fiume erano minacciose, il livello era cresciuto di oltre 1,5m e la velocità di 3 metri al secondo. Tutto induceva a rinviare ogni manovra e sembrava che le pessime condizioni meteo sarebbero rimaste invariate fino al 26.

Deputato a studiare una strategia per l’attraversamento del fiume era il Generale Enrico Caviglia che già dai mesi estivi aveva iniziato a studiare il corso del fiume, anomalo e irregolare e le sue ramificazioni, i livelli che quando pioveva si alzavano in fretta e le onde limacciose che acquistavano una forza spaventosa. Dalla sua attenta disamina si progettò di gettare 8 ponti e 13 passerelle.

Si supponeva che il passaggio dovesse riuscire più facile a Fontana del Buoro e alle Grave Di Papadopoli, dove la corrente era meno forte. In più si trattava di due punti determinanti, uno a monte e uno a valle della direzione strategica dell’operazione: la bisettrice di Falzè. Il Generale Caviglia era comunque consapevole che oltre alle insidie delle acque, gli incursori avrebbero dovuto inerpicarsi sui ripidi costoni delle rive sotto il tiro dell’artiglieria nemica, quindi serviva approntare un’adeguata copertura di fuoco amico.

Secondo il piano d’attacco si intendeva forzare il Piave, aprire una breccia profonda nel fronte avversario tra l’isola Verde e Falzè e una volta creata una testa di ponte nella piana avanzare lungo la Valle del Soligo e puntare a Vittorio Veneto. Il punto strategicamente più rilevante, Fontana del Buoro dinnanzi alla piana di Moriago, venne assegnato al Generale Giuseppe Vaccari e al suo XXII Corpo d’Armata.

Per sferrare l’offensiva bisognava ancora attendere le intenzioni del fiume e il Piave, diede il suo benestare la sera del 26 ottobre, quando la pioggia rallentò e i livelli accennarono a calare. Le condizioni erano ancora proibitive ma era l’ora di tentare. Di sicuro gli austriaci non avrebbero immaginato un attacco con quel tempo e le previsioni meteo per i giorni successivi erano rassicuranti.

I primi eroi a scendere in acqua sfidando la corrente fino a 4 metri al secondo furono i Pontieri. Grazie alla loro tenacia e determinazione venne completato il primo ponte. Alle ore 11 di sera però il nemico scoprì le manovre e da Valdobbiadene, Moriago e Soligo partì un massiccio fuoco di sbarramento sul fiume, ma il nostro generale fu tempestivo e prontamente si buttò sul telefono per ordinare fuoco di controbatteria. Nel frattempo i primi battaglioni di Arditi erano già passati dall’altra parte del Piave. Oltre 2000 “caimani” occuparono l’isola verde, il XXII reparto d’assalto iniziò ad avanzare verso Moriago mentre l’VIII piegò su Fontigo. Verso mezzanotte si vide un grande bagliore generato da Fontigo che ardeva in un ultimo tributo che lo sventurato paese versò alla causa della Patria.

Dopo furiosi corpo a corpo, verso le sei del mattino il centro di Moriago fu liberato e mezz’ora dopo fu conquistata anche Sernaglia. Il giorno si presentava già critico; le formazioni sulla riva sinistra erano isolate, bisognava aspettare di nuovo il calare della notte per ricostruire le passerelle puntualmente distrutte dall’artiglieria nemica. Per resistere gli incursori ricevettero viveri e munizioni dal comando che glieli fece lanciare da biplani da ricognizione e bombardamento che passarono a volo radente sopra le linee. Interrotta ogni altra forma di trasmissione tra le due sponde, gli arditi avvisarono della loro presenza con l’eliografo, un telegrafo che invia segnali mediante lampi di luce riflessi da uno specchio. Soli e abbandonati a loro stessi cercarono di resistere.

La pioggia cadeva con crescente intensità e anche il livello del Piave tornò a crescere minaccioso. Questo, unito al fuoco del nemico e al clima di smarrimento rischiò di compromettere la missione.  Ci volle un segnale forte e il comandante del XXII Corpo Giuseppe Vaccari fu pronto a darlo. Radunò tutti gli altri comandanti annunciando loro che quella stessa notte il comando del corpo d’armata avrebbe raggiunto gli arditi oltre il fiume: “Ali alle Ali! – Le crisi oggi non si risolvono che al di là del Piave!”.

Verso mezzanotte i Pontieri tornarono a sfidare le acque del Piave e dopo tanti tentativi finalmente vinsero le correnti e il ponte di Fontana del Buoro fu di nuovo efficiente. Altri Arditi andarono a raggiungere i primi ancora asserragliati dietro le mura del cimitero di Moriago e alle 6 del 29 ottobre a Mulino Manente il Generale Vaccari poté organizzare il suo primo comando sulla sponda liberata. Una volta attraversato il fiume non ci fu il tempo per rimuginare sullo strazio e sulle scene di estrema crudeltà che si presentarono sulla via lungo le vecchie mura che conducevano a Moriago. Cadaveri, zaini, armi, cavalli agonizzanti e feriti che avevano ancora la forza di salutare al passaggio con grida di festa e di guerra. Meglio volgere lo sguardo a quel che restava del paese.

Le artiglierie austroungariche che avevano ostacolato l’avanzata erano ormai logore e silenti, i riflettori nemici spenti e il nemico mestamente in ritirata. Il 30 ottobre l’esercito austriaco fu spezzato in due; la ritirata si trasformò in rotta e quello stesso giorno l’Austria chiese l’armistizio.

Una parte importante negli accadimenti di quei giorni, la recitarono gli Arditi. A Falzè di Piave un bronzo opera dello scultore Giovanni Possamai di Solighetto li ricorda.  Ma chi erano realmente gli Arditi, gli uomini che nella fase cruciale della Grande Guerra, con un’audacia incredibile difesero le proprie case e le proprie famiglie dalla furia devastante del nemico? Come venivano reclutati?

Gli Arditi erano un corpo speciale d’assalto. Un manipolo di uomini temerari il cui compito era la totale conquista delle linee nemiche.  Per cambiare le sorti della guerra, si decise di addestrare una élite di uomini, gente prevalentemente del posto, che conosceva bene le insenature del Piave, preparata per combattere anche sott’acqua. Una maniera questa per sorprendere il nemico prendendolo alla sprovvista.

Gli “Arditi” in molti casi, oltre a conoscere perfettamente il terreno di battaglia, erano amici e parenti degli abitanti dei paesi della sinistra Piave, e potevano trovare conforto e aiuto dagli abitanti nel momento del bisogno. Agivano in piccole unità d’assalto, erano dotati di bombe a mano e pugnali, utilizzati in assalti alle trincee nemiche, che venivano tenute occupate fino all’arrivo della fanteria. Il tasso di perdite era estremamente elevato. I soldati di preferenza erano arruolati su base volontaria, ma col progredire del numero dei reparti iniziarono ad essere designati dai propri comandi tra i soldati più esperti e coraggiosi. Dovevano superare prove di forza, destrezza e sangue freddo che abbinate all’elevato addestramento, allo spirito di corpo e allo sprezzo del pericolo, ma anche grazie ai vantaggi di cui godevano, fecero degli Arditi il corpo più temuto dagli eserciti avversari.

Contrariamente alla leggenda, non erano ammessi nel corpo i pregiudicati, anche se, chi era stato colpito da provvedimenti disciplinari o dalla giustizia militare, non civile, poteva fare domanda per entrare nel corpo in cambio di una riduzione della pena. Ma tutti i soldati impegnati in quei combattimenti, di qualsiasi arma e battaglione furono degli eroi.

Quando attraverso il viale alberato si entra nell’Isola dei morti, il tempo si ferma, sembra quasi di vederli. Un brivido ti scuote dalla testa alla punta dei piedi perché è impossibile rimanere indifferenti a quelle gesta eroiche che portarono ad un tale sacrificio umano. La nostra storia passa anche e soprattutto per l’Isola dei Morti, dove tanti giovani hanno perso la vita nel fiore degli anni per regalarci un futuro migliore.

(Fonte: Giancarlo De Luca – Qdpnews.it).
(Ricerche storiche a cura di Chiara Rainone)
(Immagini: ÖNB, comune di Moriago della Battaglia, si ringrazia inoltre il professor Raffaello Spironelli)

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