Il Montello tra cronaca nera e leggende popolari. Lo scrittore Gian Domenico Mazzocato alla “Busa dea messa” rievoca la saga più oscura del bosco veneziano

Il bosco veneziano, la collina incanta, ma anche il teatro di oscure vicende, di omicidi efferati e di imprese banditesche che intessono il passato remoto del Montello, tra il 1890 e il 1910.

Storie che all’epoca fecero scalpore in tutto il Veneto, a metà strada tra la cronaca reale e la leggenda, tramandate (nonchè amplificate) dalla fantasia popolare.

Lo scrittore trevigiano Gian Domenico Mazzocato le ha riscoperte e indagate, rileggendo minuziosamente i fascicoli processuali, per farne la trama dei suoi romanzi che compongono la “saga dei vinti veneti”, così come gli scrittori Fulvio Tomizza e Luca Desiato hanno indicato la prolifica vena narrativa di Mazzocato, che il 31 agosto compie 75 anni.

Uno dei luoghi della memoria montelliana più noti, e rievocati nei romanzi, è la piccola conca chiamata “Busa dea messa”, all’interno del bosco più fitto sopra Volpago.

Si risale lungo la presa XI via Sernaglia. Sia che si arrivi da sud o da nord, la “busa” si trova quasi a metà del percorso e nei periodi di pioggia vi ristagna l’acqua piovana, sotto una cupola di farnie e acacie.

In questo ambiente, appartato e molto suggestivo, è collocato “Delitto sulla collina proibita”, romanzo edito da DBS Zanetti di Montebelluna. Con Zanetti Mazzocato ha pubblicato anche “Colline incantate. Racconti e fiabe tra Montello e Prealpi” (2011) e “Veneto oscuro. Banditi del Montello”.

Nel “Delitto sulla collina proibita” viene rievocato un fatto di “nera” risalente al 1909, prima che il Montello, a quei tempi abitato da contadini miserabili, divenisse lo scenario della Grande Guerra.

Un bambino, Américo Gaigher, viene trovato impiccato ai margini del bosco, dove era andato per rubare un po’ di legna. Mazzocato ricostruisce la storia dell’atroce morte del piccolo e la conseguente vicenda processuale, scegliendo come voce narrante don Fervido, parroco del piccolo borgo del Santo Angelo Custode dove avvenne il fatto.

Ma ben prima di quell’infanticidio, lo scrittore ricorda che su quella collina incombe un’altra oscura storia di sangue, da cui nasce il nome della località “Busa dea messa”: “Il Montello ha vissuto una vicenda unica e sconosciuta a tutti. Nel 1471 il doge Nicolò Tron ha chiuso il Montello ai suoi abitanti. Li ha cacciati via. Qui dovevano nascere i roveri, le querce, che alimentavano gli arsenali della Serenissima. I montelliani hanno potuto tornare sulla loro collina soltanto nel 1892, grazie alla legge di un giovane deputato, che era stato anche sindaco di Montebelluna, Pietro Bertolini. Io qui ho raccolto una leggenda che giustifica questo nome, “busa dea messa”. L’ho raccontato nel mio libro “Le colline incantate”, ma anche ne ho fatto il centro nel “Delitto sulla collina proibita”.

Un ragazzo si introduce nel Montello, vuole rubare un fiore per la sua donna. Viene sorpreso da un gendarme, che gli spara perchè ha fatto qualcosa di assolutamente proibito e lo uccide.

Da quel fatto, per molti anni a seguire, si è detta una messa. Per questo il luogo di chiama così. Non si sa se a farla celebrare sia stata la ragazza, in memoria del suo giovane fidanzato, o i familiari del ragazzo. Ma quello che racconta la gente è che, a pagare quella messa, sia stato il gendarme che ha ucciso e che, per tutta la vita, ha sentito il rimorso per quello che è stato un vero e proprio delitto.

Ancora di cronaca nera legata alla collina trevigiana si parla nel romanzo “Veneto oscuro. Banditi del Montello”.

Mazzocato rievoca un altro processo, quello legato a un furto “milionario” per l’epoca, ma dai contorni mai del tutto chiariti, avvenuto nel palazzo del conte Giulio Brandolin a Solighetto.

Tra i protagonisti c’è un furfante, Bicio Soligo, che riuscì ad evitare la galera, mentre gli altri complici furono presi e condannati ai lavori forzati. Però di quel favoloso bottino (duecentomila lire) non si seppe più nulla, non fu mai ritrovato.

“Qualcuno lo cerca ancora l’oro di Bicio Soligo, tra i roveri e le fargne del Montello – annota Mazzocato, – In qualche anfratto, in una forra o in un pozzo, oppure in un vallone, dove è più rigoglioso l’intrico delle sterpaglie. Vicino al Forame da cui zampilla la Giavera, proprio sotto la vecchia chiesa del paese”.

Un altro titolo della saga montelliana è “1909. Delitto a filò” (La Vita del Popolo, 2003). L’autore ricostruisce una sorta di giallo giudiziario, connesso ad un fatto di sangue avvenuto la sera del 6 gennaio 1909, a Giavera che era frazione del comune di Arcade. Nella casa di un “massariotto”, Giuseppe Spinetta, si ritrovano alcuni paesani per “far filò”, come è consuetudine nelle campagne trevigiane.

Ma la riunione viene sconvolta dall’uccisione di un giovane, colpito con una roncola da un amico, non ancora maggiorenne, per futili motivi. Sempre basandosi sui veri atti giudiziari, lo scrittore ripercorre la vita dell’omicida (segnata da emigrazione e alcolismo) e della vittima.

Un’altra straordinaria pagina di cronaca popolare, ignorata dalla “grande” storia ufficiale, con cui i veneti e i trevigiani possono riscoprire il proprio “come eravamo”.

(Fonte: Cristiana Sparvoli© Qdpnews.it).
(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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