“L’arte de oltar do”, la tecnica di modellamento, piega e legatura della vite. Un sapere tramandato di padre in figlio

Ci sono operazioni che sfuggono all’occhio dei turisti e dei meno esperti: nell’immaginario comune l’inverno è una stagione di riposo, ma non lo è per chi tra le colline di Valdobbiadene ogni mattina si alza e si prepara alla giornata di lavoro indossando scarponi e tuta, inerpicandosi, quasi come uno scalatore, sulle ripide rive che caratterizzano questo territorio.

Un lavoro che non smette mai, ciclico negli anni ma diverso ogni due passi: è “l’arte de oltar do”, così chiamata in gergo dai viticoltori del Conegliano Valdobbiadene, la meticolosa procedura di piega e modellamento dei tralci della vite, dopo la potatura invernale, al fine di impostare la vite per ottenere il classico “archetto” che poi in primavera permetterà la nascita di nuovi germogli.

Una tecnica tramandata di padre in figlio o in certi casi da nonno a nipote, instancabili persone che nel tempo hanno colto i segreti di tecniche particolari, a volte in contrasto con la scuola “ufficiale”, che meglio si adattano alle tipologie di viti Glera autoctone di queste rive.

“Ho imparato a “oltar do” a 10 anni – racconta Tarcisio Vedova, classe 1933, e tutt’ora viticoltore nonché tramandatore di un particolare stile di archettatura – mi ha insegnato mio padre, all’inizio da piccolo mi limitavo a legare solo le viti al palo, poi con gli anni ho cominciato a selezionare e piegare i tralci in modo da scegliere quelli più idonei al mantenimento e allo sviluppo del futuro frutto”.

nodo mani

Un’operazione necessaria e essenziale al corretto sviluppo della vite: “Oggi a scuola e ai corsi di potatura insegnano una tecnica diversa – spiega Nicola Geronazzo, enologo di Valdobbiadene e nipote di Tarcisio – ma qui tra le colline di Valdobbiadene l’antico metodo tradizionale fa ottenere risultati migliori, anche perché applicato su vigneti autoctoni che sono composti per la quasi totalità da viti con più di 40-50 anni”.

La potatura invernale è un passaggio obbligato per la futura produzione di vino: solo con l’esperienza e con le molte stagioni passate sul campo si può riuscire a capire cosa sia meglio per la pianta, nozioni che difficilmente sono acquisibili in corsi specialistici, e quale sia il metodo personalizzato per ogni vite al fine dell’ottenimento del prosecco superiore di Conegliano Valdobbiadene.

Un tempo la legatura delle viti avveniva esclusivamente con l’utilizzo dei “sacolet”, i sottili rami del salice che una volta attorcigliati e legati con un particolare nodo garantivano di tenere saldi i tralci ai fili di ferro che componevano il vigneto.

Oggi si fa ricorso per comodità a ganci di acciaio ma in queste rive estremamente ripide l’utilizzo del salice per la legatura viene ancora preferito ai lacci di plastica per questioni di resistenza, ecologiche e di sostenibilità dell’ambiente.

 

(Fonte: Francesco Pastro © Qdpnews.it).
(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
#Qdpnews.it 

Total
0
Shares
Related Posts