Rane fritte o in umido: da piatto dei poveri a grande eccellenza della cucina veneta

Rane fritte o in umido: da piatto dei poveri a grande eccellenza della cucina veneta
Rane fritte o in umido: da piatto dei poveri a grande eccellenza della cucina veneta

La cucina veneta è risaputo che sia formata principalmente da materie prime povere. Oggi la nostra regione è uno dei motori dell’economia del Bel Paese ma, si sa, che non è sempre così. Ecco perché uno degli alimenti che un tempo si poteva trovare nelle tavole delle famiglie erano le rane, piatto povero per eccellenza, che tutti potevano facilmente reperire. 

Oggi, anche a causa di numerose normative e regolazioni, questo piatto è considerato un’eccellenza e una prelibatezza che però non è facile trovare nei ristoranti. Dal sapore molto simile a quello del petto di pollo o delle carni bianche in gene vengono servite fritte, ma si possono cucinare anche in umido. La loro carne molto spesso è utilizzata nei risotti o come ripieno per dei ravioli. 

“Alla festa delle Rane (che termina questa sera a Santa Lucia Ndr) noi le serviamo in tutti e quattro i modi – commenta Davide Dal Pos, responsabile della cucina – sono in molti a venire qui da noi perché non è facile trovarle in giro e quindi la nostra festa è l’occasione giusta per mangiarle”.

Come spiegato da Davide le rane sono un prodotto abbastanza semplice da lavorare. Per quanto riguarda la preparazione di quelle fritte, che, come detto, sono le più richieste, dopo averle lavate è necessario “passarle in una pastella la cui ricetta è segreta ed è stata inventata dai fondatori – commenta – poi le infariniamo, le friggiamo e le serviamo” 

Generalmente di questo animale vengono mangiate solamente le cosce e risultano molto digeribili. Ai tempi della guerra molto spesso le rane erano l’unica fonte di proteine per le persone e per questo ancora oggi i più anziani hanno un grande rispetto per questo animale.

“Mi ricordo che mia nonna le preparava spesso – spiega Giorgio, che la guerra non l’ha vissuta ma è nato negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, non per questo meno duri dei periodi bellici – molto spesso le mangiavamo anche tutti i giorni per una settimana in quanto non c’era altro“.

Giorgio racconta che sua nonna usciva di casa, nel Montello, all’imbrunire, soprattutto quando aveva appena smesso di piovere e questi animali uscivano dalle loro tane “quando tornava a casa con il secchio, che doveva essere molto grande perché sennò saltavano fuori, pieno per noi era una grande festa”. 

(Fonte: Simone Masetto © Qdpnews.it)
(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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