La parrocchiale dei Santi Martino e Rosa, tra l’espressione della carità e lo splendore dei manufatti lignei

La prima delle due dedicazioni della parrocchiale dei Santi Martino e Rosa di Conegliano può essere considerata un indizio per comprendere le origini della chiesa. Questa infatti basa la sua storia su di un primo, lungo periodo nel quale è stata parte di un complesso assistenziale, il cui obiettivo caritatevole ben si rispecchia nel gesto di San Martino di dividere il mantello per il povero.

La più antica testimonianza del luogo di culto fino ad ora rintracciata risale agli inizi del XIII secolo. Da lì in avanti le fonti raccontano di un primo affidamento ai frati di Santa Maria dei Crociferi, poi alla confraternita dei Battuti e infine, dal 1665, ai domenicani, ai quali si deve l’aggiunta della seconda dedicazione a Santa Rosa da Lima.

Al momento dell’ultimo passaggio pare che le condizioni dell’edificio fossero fatiscenti, motivo per cui dal 1674 venne avviata la progettazione della nuova chiesa. La costruzione e le rifiniture si protrassero fino agli anni ’30 del Settecento, coinvolgendo numerose e abili maestranze scelte soprattutto tra i confratelli degli altri conventi del nord-Italia.

Tra questi spicca in particolar modo la figura di frate Elia Biondo, artefice di una serie di apparati lignei che ancora oggi decorano e contraddistinguono l’interno della navata, nonostante questa sia stata bombardata – e quindi di conseguenza modificata – nel 1918. Se l’esterno ha una parvenza estremamente sobria, con la sua facciata al grezzo rivolta verso il fiume Monticano, l’interno si presenta infatti come un tripudio di intagli in legno soprattutto grazie all’opera del frate. I primi esempi della sua maestria si trovano addossati alla controfacciata: la cantoria e la cassa dell’organo paiono quasi un monumentale ricamo, traforato ed arricchito da volute, mascheroni, festoni e strumenti musicali. Subito sotto, la sua mano è riconoscibile nel coprifonte battesimale, laccata e dorata allo stesso modo della corona pensile sopra l’altar maggiore. Sospeso sulla parete sinistra della navata troviamo il pulpito, vero capolavoro di frate Elia, istoriato sulla balaustra da episodi della Bibbia e dai simboli degli evangelisti e sormontato da un’impressionante copertura sorretta da telamoni, terminante con la leggiadra figura di un angelo musicante.

L’intensa tonalità del legno di cirmolo della cantoria e del pulpito rendono vive le chiare pareti della navata, assieme ai marmi delle cappelle laterali e alle numerose opere d’arte pittorica. Già presso il primo altare di sinistra veniamo accolti dalla presenza dell’Adorazione dei pastori di Francesco da Milano del 1530, riconoscibile per la monumentalità dei personaggi e la brillante cromia; la pala testimonia gli spostamenti della confraternita di San Giuseppe, sorta presso Madonna delle Grazie, trasferita poi a San Giovanni Evangelista e infine stabilita ai Santi Martino e Rosa.

Sempre proveniente da altra chiesa – in questo caso la distrutta San Sebastiano -, sul lato sinistro del coro troviamo San Sebastiano e i Santi Barbara e Rocco del Pozzoserrato del 1593, mentre sulla parete di fondo è esposta la grande e sgargiante Ultima cena di Sante Peranda del 1615. L’elaborata cornice di quest’opera e gli stalli del coro sottostanti vanno a confermare la prima e principale caratteristica della parrocchiale, ovvero la sua vocazione per l’uso sapiente del legno come espressione della devozione e del gusto artistico.

(Autore: Cristina Chiesura).
(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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