“Bisogna cercare di affrontare la tutela della vittima in maniera attiva” spiega l’avvocato penalista e docente di Criminologia all’Università di Trieste Danilo Riponti.
[spreaker type=player resource=”episode_id=53260464″ width=”100%” height=”200px” theme=”light” playlist=”false” playlist-continuous=”false” chapters-image=”true” episode-image-position=”right” hide-logo=”false” hide-likes=”false” hide-comments=”false” hide-sharing=”false” hide-download=”true”]Come detto nell’episodio precedente del podcast di Qdpnews.it “Lezioni di Criminologia”, la tutela della vittima è l’obiettivo principale sia della criminologia che della vittimologia.
Ma questo tipo di tutela – secondo l’avvocato – “deve essere l’obiettivo anche della politica legislativa in generale, in quanto riflette una questione di civiltà complessiva della società ed esprime una fondamentale valore etico di solidarietà”.
Danilo Riponti, come detto, oltre che essere docente di Criminologia è anche avvocato penalista. Nella sua lunga carriera ha maturato un’esperienza tale per poter affermare che sovente “le vittime percepiscono la partecipazione ai processi penali come una fonte di frustrazione”.
“Per loro – continua l’avvocato – partecipare ai processi può essere un trauma, chiamato in dottrina “seconda vittimizzazione” o “vittimizzazione secondaria”, in quanto sono costrette a dover ripetere insistentemente temi delicati e momenti del fatto criminoso che hanno subito, e a partecipare a procedure che spesso trascurano la loro dimensione umana ed esistenziale”.
Riponti parla in concreto di questa situazione come di una sorta di “rivittimizzazione” e aggiunge che oltre al danno dovuto dal reato, talvolta le vittime “subiscono un danno secondario che è legato alle modalità del procedimento giudiziario”.
“Difficilmente queste persone ricevono delle soddisfazioni di natura patrimoniale dei criminali – continua l’avvocato – mentre molto spesso sono chiamate a partecipare al processo dovendo investire delle risorse che delle magari non hanno o per le quali devono cercare aiuto da amici e parenti. Tutto questo accade perché in realtà la società e il sistema del processo non riconosce alla vittima questo tipo di supporto, se non in casi assolutamente eccezionali”.
Da tempo si parla di trasformare la giustizia penale da un’impostazione retributiva ad una impostazione riparativa, con benefici effetti per la vittima.
È una grande rivoluzione concettuale, recepita dalla recente Riforma Cartabia che, grazie al prospettato “sistema della giustizia riparativa” sta cercando di cambiare il ruolo della vittima nei processi. “Sono procedimenti molto moderni e innovativi – conclude Riponti – ricchi di grande sostanza giuridica innovativa, e anche di qualche criticità che va colta per il corretto futuro funzionamento del sistema: noi non mancheremo di parlarne in modo sintetico ma come sempre preciso”.
Fonte: Simone Masetto © Qdpnews.it)
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