Sono tanti i luoghi della Grande Guerra che meritano di essere conosciuti e valorizzati. A Santo Stefano di Valdobbiadene ce n’è uno, sconosciuto ai più: in paese lo chiamano Villa Luisa perché, in origine, era una casa di una benestante contadina di nome Luigia.
Un luogo magico, dal fascino particolare, che racconta un passato fortunatamente scomparso, ma che merita di essere riscoperto e mantenuto in vita. Il merito della rinascita di Villa Luisa va al gruppo alpini di Santo Stefano, che, grazie alle iniziative legate all’adunata nazionale di Treviso, hanno risvegliato quest’importante testimonianza monumentale.
Qual è la storia di Villa Luisa? Perché è un luogo importante? Nel novembre 1917, con l’arrivo dei soldati austro-ungarici e tedeschi dopo la rotta di Caporetto, la casa della signora Luigia fu in parte demolita e poi fortificata per far insediare il comando del 31° reggimento artiglieria della 32^ divisione della Fanteria austro-ungarica. Il vecchio stabile fu ampliato e poi fu costruita una galleria, usata come deposito munizioni e viveri, e una grande vasca per l’approvvigionamento d’acqua.
Nelle settimane seguenti, a fianco della galleria, furono realizzate delle baracche , da dove partivano gli ordini – mediante cavi telefonici ancora visibili – per l’artiglieria di piccolo-medio calibro posizionata più a nord, ossia nelle gallerie presenti sui colli del Montagnon (Follo), di Mass Bianchet (Soprapiana di Vidor) e le Muliane (verso Guia). Tutto era stato ingegnosamente progettato per bombardare in modo mirato le truppe italiane ed alleate posizionate nella Destra Piave, tra Pederobba e Falzè di Piave.
Un’interessante curiosità di Villa Luisa è una lapide che riporta un’iscrizione incisa nelle lingue austriaco ed ungherese. Essa ricorda i soldati di quel reggimento che combatterono sul Montello durante la battaglia del Solstizio (15-23 giugno 1918) e non fecero più ritorno. Una scelta molto peculiare, una distinzione chiara tracciata con una netta linea verticale, a dimostrazione di quanto fossero tesi i rapporti tra Vienna e Budapest. Due popoli e due culture che non erano mai andate d’accordo e che, quindi, sentivano la necessità di onorare i loro morti in due lingue differenti.
Preservare la memoria storica della Grande Guerra, soprattutto nel Veneto invaso, è anche questo: ricordare anche i nemici in un clima di reciproco rispetto.
(Fonte: Luca Nardi © Qdpnews.it).
(Foto: per gentile concessione di Giuliano Adami)
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