A due passi da Porta San Tomaso, entro la cinta di mura rinascimentali, la chiesa di San Francesco si erge fra i palazzi in tutta la sua imponenza. Oltrepassato il portale romanico si fa ingresso in un luogo sospeso nel tempo che rimanda al forte legame che la città di Treviso ha stretto nei secoli con l’ordine dei Francescani. Dagli affreschi duecenteschi ai preziosi dettagli architettonici le opere custodite al suo interno invitano al silenzio e alla contemplazione.
L’ufficio Beni Culturali della Diocesi di Treviso, nell’àmbito del progetto “Luoghi del Sacro Treviso“, dona una descrizione dettagliata delle peculiarità di questa chiesa cara ai Trevigiani da scoprire, talvolta riscoprire, e apprezzare in tutta la sua bellezza.
San Francesco è la più antica chiesa eretta dagli ordini mendicanti a Treviso che ha conservato sostanzialmente fino ai nostri giorni la sua struttura originaria. Il primo nucleo “conventuale” francescano, costituito da un’abitazione con annesso piccolo oratorio, sorse intorno al 1225 nel centro cittadino, in zona periferica ma compresa entro la nuova cinta muraria. Qualche anno dopo venne promossa la costruzione di una chiesa e un convento definitivi, grazie all’elargizione di mille lire da parte del Comune (Statuto del 1231), riconoscendo all’Ordine dei frati minori nella pratica della predicazione della dottrina cristiana e dei principi di pace e carità l’importante ruolo di pacificatori sociali e di evangelizzatori contro le eresie.
Si ipotizza che la chiesa sia stata edificata tra il 1250 e il 1280: nel progetto iniziale si presenta come un edificio a pianta latina con un’unica grande navata coperta da soffittatura lignea, conclusa da transetto e capocroce a tre cappelle. Da notare che la cappella centrale a terminazione poligonale è tra i primi esempi di abside gotica introdotta in Veneto in una chiesa mendicante. Entro la metà del Trecento poi, con l’aggiunta di altre due cappelle alle estremità laterali del transetto, la chiesa venne dotata di cinque cappelle absidali. Illustri famiglie trevigiane e della Marca scelsero questa chiesa quale pantheon dove insediare le loro cappelle gentilizie e monumenti sepolcrali, tra queste vanno enumerati i Tempesta, i Rinaldi, i Brandolini, i Sugana, i Da Rover e la celebre casata dei Da Camino, signori di Treviso. Si rese così necessario provvedere a un ampliamento, attuato nella prima metà del XV secolo con l’apertura di cinque cappelle sulla parete meridionale della navata creando una sorta di navatella laterale.
Questo tempio nel corso dei secoli divenne uno scrigno d’arte, arricchito con altari, pitture e sculture di grande pregio, basti ricordare i dipinti di Alvise Vivarini, Carpaccio e Mansueti (oggi presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia) o di Paris Bordon (nel Duomo di Treviso). Gran parte di questo patrimonio è andato disperso o distrutto a seguito dell’occupazione napoleonica del 1797 e della successiva soppressione del convento del 1806. Allora, gli edifici vennero utilizzati come caserma, ospedale militare e stalla per cavalli. Nel 1921, dopo che la proprietà della chiesa passò dal Demanio al Comune di Treviso, venne avviata un’imponente opera di restauro e il 4 ottobre 1928, giorno della memoria liturgica di San Francesco d’Assisi, la chiesa fu riconsacrata, riaperta al culto e riconsegnata ai Frati Minori Conventuali. Il convento, demolito nel 1858, fu ricostruito su progetto dell’architetto Alpago Novello (1935), così come il campanile (1937-42), nello stesso luogo di quello quattrocentesco abbattuto nel 1816.
Caratteri romanici, elementi del gotico internazionale e tradizione costruttiva locale trovano in San Francesco una felice sintesi. La fabbrica è rigorosa, in laterizio, la facciata a capanna presenta un portale di gusto romanico entro cui si inserisce una lunetta affrescata (1300 circa), raro esempio per Treviso di pittura murale di ascendenza bizantina, raffigurante la Madonna con il Bambino, i santi Francesco e Ambrogio e gli arcangeli Gabriele e Michele. Gli arcangeli alludono rispettivamente ai temi dell’Annunciazione il primo e della Passione e del Giudizio il secondo.
All’interno, nell’aula unica “a granaio” predomina la sobrietà propria degli edifici francescani, l’esattezza di proporzioni si fa simbolo dell’armonia divina dell’universo, la pianta a Tau e lo spostamento della cappella maggiore dall’asse della navata riflette la posizione del Cristo sulla croce col capo reclinato. Il soffitto ligneo a carena di nave è emblema della Chiesa, “barca di Pietro”, che sulla Parola di Gesù getta le reti e raccoglie ogni genere di pesci che sono nel mare. I mattoni faccia a vista simboleggiano ogni battezzato, divenuto nel Battesimo “pietra viva” per la costruzione di un “tempio vivo” al Dio vivo. L’altare della celebrazione è un blocco di marmo proveniente dalla Verna, dove san Francesco nel 1224 ha ricevuto le stigmate, i segni della Passione di Gesù.
Numerosi sono i pregevoli affreschi antichi che il restauro del 1928 ha riportato alla luce. Tra i più antichi, sulla parete sinistra della navata campeggia un gigantesco San Cristoforo di fine Duecento. Sulla volta a crociera del presbiterio sono raffigurati gli Evangelisti, seduti allo scrittoio intenti a comporre o meditare su un fondo azzurro stellato. Sulle vele dell’abside i due spicchi centrali sono riservati al tema cristologico e celebrativo del titolare della chiesa le Stigmate di san Francesco: il santo, inginocchiato davanti alla grotta sul monte della Verna, alza le mani verso Cristo, avvolto dalle ali rosse del Serafino, con le braccia alzate come stesse sulla croce. Sulle vele laterali si trovano Adamo e la dolce immagine della Madonna con il Bambino, in cui la Vergine ha il volto pervaso di tristezza mentre il Bambino le cinge il collo con le braccia. Questi affreschi sono databili ai primi anni cinquanta del Trecento e ascrivibili alla bottega del Maestro di Vigo di Cadore.
Nella cappella Giacomelli, a sinistra della maggiore, è conservato l’affresco più pregevole, opera di Tomaso da Modena con l’aiuto del Maestro di Feltre (1348-1352 circa), che raffigura la Madonna con il Bambino e i santi Antonio abate, Caterina, Lorenzo, Giovanni Battista, Ludovico di Tolosa, Giacomo e Cristoforo. I santi, allineati in serie secondo i vecchi schemi dei quadri votivi, sono tuttavia animati da un accenno di moto, alcuni hanno un atteggiamento colloquiale e certi volti rivelano un carattere ritrattistico. Il Maestro di Feltre è ritenuto autore anche della Madonna con il Bambino e i santi Antonio abate, Francesco, Bonaventura e Cristoforo (1351) della cappella Rinaldi, la prima a sinistra.
Nella cappella Coletti o del Santissimo, a destra della maggiore, la Crocifissione tra i dolenti e santi è opera di un pittore veneziano che alla fine del XIV secolo assomma elementi derivati dalla tradizione bizantina con l’influsso tardo gotico. Nella cappella dedicata a Santa Rita, fatta erigere nei primi anni del Quattrocento da Tolberto di Sinisforte, vanno notati i brani superstiti della Vergine incoronata dagli angeli e i santi Cristoforo e Francesco d’Assisi per l’intensità espressiva e l’effusione patetica dei volti, lavoro di un pittore veneto ispirato all’arte di Gentile da Fabriano (secondo decennio sec. XV).
Infine, desta curiosità l’affresco del 1453 che raffigura Gesù Cristo crocifisso, un’immagine fatta dipingere su una colonna per ordine dell’Inquisitore a spese dell’oste Lupo giudeo, colpevole di aver servito carni a un cristiano nei giorni di venerdì e sabato. Il doloroso patetismo del volto di Cristo rimanda a un pittore vicino ai modi di Dario da Treviso, l’artista autore dell’affresco con la Madonna con il Bambino staccato da una casa trevigiana e ora conservato in questa chiesa.
Non da ultimo, San Francesco ha anche il privilegio di ospitare le memorie funebri dei figli di Dante Alighieri e Francesco Petrarca. L’arca di Pietro Alighieri, morto a Treviso nel 1364, opera del veneziano Filiberto De Sanctis, venne qui traslata nel 1935 dalla chiesa trevigiana di Santa Margherita. Della tomba di Francesca Petrarca si conserva la lapide con l’iscrizione dettata dal marito Francesco da Brossano che ricorda la figlia diletta del poeta morta di parto nel 1384.
(Autore: Redazione Qdpnews.it).
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