Pederobba, alla scoperta delle tradizioni del passato ora scomparse: la macellazione del maiale in casa

Tra le tradizioni che stanno scomparendo definitivamente, c’è quella dell’uccisione del maiale in casa nelle famiglie dei contadini.

Un rito che scandiva il passaggio tra la fine del vecchio e l’inizio del nuovo anno.

Si trattava dei mesi più freddi della stagione indicati per l’uccisione del “maiale” in termine dialettale “mas-cio” e vedeva come maggior protagonista, sia per quanto concerne la macellazione che per la lavorazione delle carni, il “Porzheler” che nel corso di questi due mesi veniva ingaggiato dalle famiglie contadine per questo rito- tradizione che si perde nella notte dei tempi.

Una tradizione scomparsa da qualche anno vuoi per la notevole riduzione delle famiglie contadine, che allevavano autonomamente il maiale, ma soprattutto per le restrittive norme sanitarie, decisamente elastiche a quei tempi.

Un rito che prendeva avvio alle prime luci dell’alba con il grande pentolone dell’acqua in ebollizione, e il lamento lacerante al momento della sua uccisione che avveniva tramite un coltellaccio affilato direttamente alla gola. Una scena alla quale assistevano in tanti, visto che per l’occasione venivano invitati i parenti e gli amici in quella che veniva considerata una festa in famiglia.

Quando ero piccolo i miei genitori mi tenevano a casa da scuola – ricorda un anziano del paese. Ad un certo punto della giornata nel corso della lavorazione delle carni – mi mandavano a prendere lo stampo delle “martondele” che non era altro che uno scherzo, visto che all’interno di un vecchio sacco di juta, avevano nascosto dei sassi o del ferro”.

Queste martondele non erano altro che delle polpette di carne avvolte da una rete intestinale chiamata “Rosol”.

Ai ragazzi veniva riservata la setola del maiale, che poi veniva venduta allo straccivendolo che passava per le vie del paese. Il maiale dopo averlo tenuto a digiuno il giorno prima, veniva prelevato direttamente dal “porzil” il recinto nel quale veniva tenuto dal momento dell’acquisto, e alimentato con avanzi di cucina, patate e scarti di frutta, o con del beverone, un miscelato di acqua mescolata con granone, e crusca, per aumentarne in breve tempo il peso.

A proposito di quest’ultimo, visto che per ogni maiale ucciso, si doveva pagare il “dazio” veniva dichiarato un peso massimo di 99 kg, per non pagare l’aumento di tariffa imposta sopra il quintale… 

Il sangue dell’animale veniva raccolto per confezionare un apposito dolce, messo in recipienti e mescolato in fretta per non farlo raffreddare, e veniva utilizzato per fare il “sanguinazz” integrando l’uva passa noci tritate e vin cotto.

Tutta la famiglia era impegnata nella lavorazione, nel preparare le spezie, lavare le budella per la confezione dei vari salumi, dal salame, alla soppressa, salsicce, la cui bontà era determinata dalle dosi delle spezie e dagli aromi. Si lasciavano riposare un paio d’ore prima di appenderli nelle apposite stanze per l’asciugatura, ultimo atto della fatica di giornata, che si chiudeva con la cena, a base di braciole, costine, contorni vari, il tutto annaffiato dal vino di casa, a conclusione di una tradizione definitivamente passata agli archivi.

(Fonte: Giovanni Negro © Qdpnews.it).
(Foto: Dino De Lucchi).
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