La chiamavano “la Clemi”: storia e origini dell’Osteria al Castelletto, dalle critiche all’eccellenza

La chiamano la Clemi e nel Quartier del Piave è praticamente una leggenda, ma il suo nome, Clementina Viezzer, e la sua storia, così come quella della sua osteria nascono da un passato molto più umile che nel tempo si è coeso con la passione non tanto per la cucina ricercata, quanto per quella sincera e genuina, che ancora oggi è capace di emozionare chi la incontra.

Percorrendo la strada che da Pieve di Soligo porta a Follina è facile notare un edificio di colore rosso, un tempo appartenuto ai conti Brandolini: l’osteria al Castelletto prende il nome da quello che un tempo era il complesso difensivo dell’importante famiglia trevigiana. Dal 1630, il Castelletto era un luogo di sosta per mercanti e viaggiatori e anche oggi, in maniera differente ma simile, conserva questo scopo.

La carriera della Clemi nasce proprio in casa Brandolini: fin da ragazza tratta i prodotti dei dintorni, cucinando per i conti e facendo la tutrice ai loro figli. È nel 1967 che il mestiere casalingo si trasforma in una vera e propria professione: è la prima scintilla di una lunga avventura nel mondo della ristorazione, che inizia anche con delle critiche.

All’inizio cucinavamo salsicce, costicine e polenta – racconta la Clemi – ma a me non piaceva quel tipo di cucina. Così ho cominciato a inserire la proposta di quei piatti che anche oggi vedete sul mio menù”.

Gli ospiti che vedevano quel menù, ricco di proposte che pur valorizzando gli ingredienti locali proponevano piatti diversi, impiegò un po’ di tempo a convincersi che mangiare al Castelletto significava mangiare bene: non sapevano che, nel giro di qualche anno di passaparola e visite illustri, la Clemi sarebbe stata per la maggior parte di loro sinonimo di casa.

Gli ingredienti di questa ricetta, del successo della Clemi, vedono una grande attenzione anche nelle piccole cose: posate in argento, piatti di ceramica, fiori freschi ogni giorno, tovaglie in cotone pesante e cuscini ricamati a mano.

Elementi nobiliari che creano un delizioso contrasto con l’umiltà dei piatti, dietro ai quali, però, si cela una grande conoscenza e sperimentazione. Anche le ciotole, dalla Clemi, sono allegoria di questo sentirsi a casa: “Nella mia famiglia – racconta la Clemi – la tavola era sempre piena di ciotole. Ogni ciotola è anche un modo di affezionare il cliente, perché viene e si prende quello che vuole, esattamente come a casa sua”.

Negli anni la Clemi è riuscita ad abbinare ai piatti veneti anche prodotti nazionali, si passa dunque dal poter degustare uno splendido risotto agli asparagi, all’uovo con il tartufo passando per una bruschetta con pomodoro e mozzarella. Il suo piatto preferito, comunque, rimane il risotto, che sua madre gli preparava da piccola, quando ancora non c’era molto altro nella dispensa.

La Clemi afferma che il futuro dell’Osteria al Castelletto è nelle mani di suo nipote Nicolò, che si è innamorato di questo lavoro vivendolo fin da bambino “In verità io sarei geometra – spiega – ma fin da piccolo mi sono innamorato di questo locale e così, di conseguenza, anche di questo mestiere”.

L’Osteria al Castelletto è a parer comune un luogo capace di emozionare, un ristorante che va al di là del piatto o della cucina: il momento in cui ci si sente maggiormente a casa, forse, è quando la Clemi, attraversando la stanza, si avvicina per capire se si sia mangiato a sufficienza o meno.

(Fonte: Simone Masetto © Qdpnews.it).
(Video: Qdpnews.it © Riproduzione riservata).
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