Tra i vortici di colore dell’atelier di Massimiliana Sonego: artista che “sfigura” la realtà e riattualizza il vissuto

La professoressa Lorena Gava ci conduce in un viaggio alla scoperta di uno dei luoghi più intimi e affascinanti dell’arte contemporanea: l’atelier.

L’atelier, ma lo si potrebbe definire altrettanto propriamente studio o laboratorio d’artista, è un luogo dalle infinite possibilità e dai mille volti: può essere uno spazio ospitato da un edificio storico e aperto al pubblico, come quello di Franco Corrocher (qui l’articolo), oppure una sorta di museo che ripercorre il filo rosso della storia, come nel caso di Carlo Balljana, (qui l’articolo), o infine un luogo privato e personale nel quale rinchiudersi per dare libero sfogo al processo creativo, come avviene con l’artista coneglianese Massimiliana Sonego.

L’atelier è fondamentale nella vita di un artista, è il ventre di ogni creazione – spiega Lorena Gava – e nel caso di Massimiliana siamo nel luogo del suo pensiero e della sua arte, un luogo magico attorniato da tutti quegli oggetti che poi entrano visivamente nelle sue opere“.

Nella vicenda artistica di Massimiliana Sonego ci sono un prima e un dopo la figurazione: prima degli anni Duemila la pittrice dipingeva nature morte ricche di particolari realistici e accese con colori quasi fauve, poi ha iniziato a “sfigurare l’oggetto, andare oltre per svuotarlo della consistenza esterna e partecipare alla vita dell’oggetto stesso”, continua la storica dell’arte.

Il rapporto con l’oggetto e quello che rappresenta costituisce quindi un elemento fondamentale per la pittrice, e da qui la necessità di un spazio pregno di significati da indagare: “Io qui ritrovo me stessa anche perché sono circondata dai miei oggetti, che sono parte preponderante del mio lavoro – spiega l’artista – e qui riallaccio quelli che sono i fili di un passato che si ripropone continuamente nel presente“.

Lo stile di Massimiliana Sonego trasmette una grandissima vitalità soprattutto nelle notevoli tele che occupano il suo studio, dove vortici di colori e forme testimoniano un approccio libero al mondo, “senza condizioni”, che deriva anche dal rapporto con la dimensione dell’infanzia, con cui ha avuto a che fare per molti anni, essendo stata docente della scuola primaria.

Ma se il “ventre” dell’atelier è dove il caos positivo della creazione artistica genera queste grandi tele, il loro destino è quello di mostrarsi al mondo senza che le loro dimensioni ne sacrifichino la possibilità di essere ammirate. Da questa ulteriore necessità, complementare e opposta a quella dello spazio “privato” dell’atelier, nasce il desiderio di uno spazio “pubblico” e altrettanto personale.

“Il mio sogno è quello di avere un grande spazio, un capannone, e farlo diventare mio – conclude l’artista – per riuscire a dedicarmi non solo al lavoro della pittura ma anche al lavoro nello spazio”.

(Fonte: Fabio Zanchetta © Qdpnews.it).
(Video: Qdpnews.it © Riproduzione riservata).
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