Luoghi del Sacro in terra Unesco: la chiesa di Santa Maria dei Broi, un’antica chiesetta nascosta tra edifici moderni

Camminando tra le vie della zona residenziale di Farra di Soligo, non è facile poter scorgere la chiesa di Santa Maria dei Broi tra gli edifici di recente costruzione. La parola stessa “Broi” (o “Broli”), indica l’originario ambiente su cui sorse la chiesa: un luogo immerso nel verde.

L’edificio è di piccole dimensioni e colpisce per la presenza di un campanile molto possente, austero e tozzo, privo di cuspide, che richiama la probabile primitiva funzione di torre difensiva.

Tracce di affreschi sulla facciata hanno permesso di riscoprire, anche al suo interno, una decorazione pittorica assai antica, e delle iconografie significative, a tratti curiose, di non facile lettura e interpretazione.

La datazione di questo oratorio è sicuramente posteriore al 1272, anno in cui Bruno Villano, capostipite di una importante famiglia di Farra, i Brunvillani (imparentata forse con quei Nascinguerra signori dell’antico castello di Farra di Soligo, oggi non più esistente) acquistò un terreno in questo “broius”, dove probabilmente la famiglia fece edificare questa chiesa campestre nei pressi della propria tenuta.

Sulla parete della facciata si intravedono, seppur rovinati e sbiaditi, affreschi trecenteschi che raffigurano Santa Caterina di Alessandria, una presunta Santa Maddalena, San Giacomo Maggiore e San Giovanni Battista.

Oltrepassando la soglia, quella che fino a pochi anni fa appariva come un’aula dalle pareti nude, oggi si mostra magnificamente decorata con affreschi del primo Trecento, venuti alla luce sotto uno spesso strato di intonaco, che per secoli aveva celato il tesoro d’arte nascosto in questo oratorio.

Opera di autore veneto ignoto, la decorazione è costituita da una teoria di santi, esempi virtuosi di vita cristiana per chi giungesse a pregare in questo luogo, anche se oggi non tutti sono facilmente interpretabili a causa delle lacune presenti, che non ne permettono l’identificazione.

Tra questi però si riconosce San Michele Arcangelo, che si presenta come una figura ieratica in atto di pesare le anime con la sua bilancia. Tra le raffigurazioni superstiti, vi è anche una Resurrezione tratta dal Vangelo di Matteo in cui il fulcro è il sepolcro vuoto. L’affresco forma una sorta di dittico con una Crocifissione, in cui Cristo ha gli occhi chiusi e non ha la corona: immagini che suggeriscono la presenza di sepolture adiacenti alla chiesa, dando un messaggio di speranza di resurrezione dalla morte.

Sicuramente l’affresco che più caratterizza e rende unico questo luogo sacro, è quello che rappresenta un misterioso santo che tiene in mano una corda, forse un guinzaglio, e accanto a lui è riconoscibile un lupo che pare essere stato ammansito dal santo stesso.

Inizialmente la figura ha richiamato alla mente quella più celebre di San Francesco, ma le ipotesi più recenti propendono verso l’identificazione con Sant’Amico di Rambona o San Guglielmo di Vercelli, entrambi legati ad una leggenda che li vede addomesticare un lupo feroce.

Durante il periodo medievale la presenza dei lupi in queste terre era assai numerosa e quindi la popolazione rivolgeva le sue preghiere ai santi protettori del bestiame. In tempi più recenti, la chiesa ha subito modifiche, ma anche gravi danni, essendo stata usata come deposito di armi e prigione durante il primo conflitto mondiale (lo testimoniano i disegni sui muri lasciati dai soldati austro-ungarici), e proprio per questo motivo, dopo un recente restauro, nella torre campanaria è stata posta, assieme ad una targa in memoria dei caduti, una nuova campana chiamata “Maria Pacis” che con i suoi rintocchi distribuisce il valore della pace.

(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
(Fonte: Paola Brunello e Cinzia Tardivel).
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